Il Covid-19 ha avviato una vera e propria transizione verso la cosiddetta “nuova normalità”, che sta mettendo in discussione tutti gli schemi sociali ed economici, e sta ridisegnando il profilo della domanda di beni e servizi per il prossimo futuro.
Per alcuni è tempo di parlare di una nuova localizzazione, altri parlano di un ritorno alla regionalizzazione ma, con ogni probabilità, è il caso di considerare una nuova globalizzazione, che tenga conto dei limiti e delle fragilità dei mercati, emersi a causa della pandemia.
La globalizzazione ai tempi del Covid richiede cooperazione e coordinamento al livello internazionale, piuttosto che l’adozione di logiche basate sulla competizione. La comunità internazionale dovrà pensare a una riorganizzazione delle catene del valore, rendendo le reti degli scambi logisticamente più resilienti e le forniture di beni essenziali più attendibili.
Mai come oggi le imprese italiane devono far leva sulla qualità e sull’eccellenza del Made in Italy per fronteggiare il periodo di crisi causato dal Covid-19, perché una cosa è certa: il mercato continuerà a non essere solo quello domestico e l’export farà da traino per la ripresa economica italiana.
La produzione italiana ha enormi potenzialità, tuttavia sono ancora poche le aziende che operano sui mercati internazionali.
Basti pensare che, secondo uno studio CRIBIS, meno di un’azienda piemontese su 10 (8,85%) ha relazioni commerciali con l’estero e una situazione simile è stata rilevata in Toscana (8,05%). La quota di imprese esportatrici si riduce progressivamente in Campania (4,34%), Lazio (3,93%), Marche (3,37%), Puglia (3%) e Friuli-Venezia-Giulia (2,91%), per poi raggiungere quote inferiori all’1% in Calabria, Sardegna, Basilicata, e Valle d’Aosta.
Sempre dall’analisi CRIBIS è emerso un dato importantissimo: l’export è una strategia vincente per la maggioranza delle aziende esportatrici italiane. Il 60% di queste, infatti, ha fatturati in crescita.
Oggi più che mai le imprese, chiamate a riadattare i propri modelli organizzativi e di business anche a livello locale, possono ragionevolmente pensare all’avvio di un processo di internazionalizzazione trainato, senza ombra di dubbio, dal brand del Made in Italy.
In questo scenario, le micro e piccole imprese possono rispondere con maggior agilità alle sfide poste dalla crisi economica, riadattandosi in maniera rapida per rivolgersi a nuovi segmenti di mercato attraverso nuovi canali, facendo leva sulle proprie peculiarità e con il supporto di partner strategici.
Le aziende devono imparare a guardare altrove mettendo in discussione i modelli fino ad ora utilizzati, a comprendere le caratteristiche del mercato estero cui vogliono rivolgersi, a presentarsi con una veste “su misura” e con una strategia ben delineata. Solo così possono vincere la competizione a livello globale e auspicare una crescita del proprio business.
Oggi come ieri è cruciale l’adozione di una strategia di internazionalizzazione ben delineata, che preveda passi proporzionati alle capacità dimensionali e di risposta della singola azienda.
L’impresa che intenderà internazionalizzarsi potrà far ricorso a vari strumenti come fiere di settore, commercio digitale e finanza agevolata, ma i fattori determinanti per ripartire dall’export saranno una visione aziendale aperta al cambiamento e la maturità nel sapersi adattare di volta in volta alle nuove sfide.
*Alessandro Cianfrone – Dottore Commercialista
Consigliere Nazionale ADC
Delegato all’Internazionalizzazione e alla Finanza di impresa
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